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La missione in Congo

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L'opera continua anche in Congo

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La repubblica democratica del Congo, economicamente è uno dei paesi più poveri del continente soprattutto a causa dell’instabilità politica, della corruzione dell’amministrazione e delle guerre etniche. La capitale del paese è Kinshasa, sulle rive del fiume Congo, una metropoli di oltre 9 milioni di abitanti. La situazione politica e sociale del Paese è sostanzialmente rispecchiata dalla sua città principale, dove la vita è difficile a causa delle disastrate condizioni economiche, della scarsità di infrastrutture e del sovrappopolamento che ha finito con il generare vaste distese di baracche tutt’intorno al perimetro del centro. Nella Città lo sporco e i rifiuti sono dovunque. Le fogne a cielo aperto delimitano le strade lungo le case e le baracche sorgono dove la gente vende quello che ha: articoli casalinghi, ferramenta, manioca, pollame e verdure, queste ultime radunate in mucchietti chiamati "tas"... un tas di patate, un tas di cipolle, inoltre non ci sono bilance e non tutti sanno contare.

In seguito ad alcune circostanze particolari volute dalla provvidenza, nel 2002 la Madre Generale delle Suore della Sacra Famiglia si reca a Kinshasa per verificare la possibilità di aprire una casa. Mentre le prime aspiranti alla vita religiosa vengono in Italia per conoscere sul posto l’Istituto e iniziare la formazione, a Kinshasa si avvia la costruzione di una scuola, affidata temporaneamente alle cure dei Padri Lazzaristi. Nel settembre 2007 si apre sul posto la prima comunità con suore italiane e le prime suore congolesi per operare sia nel campo assistenziale educativo e in quello dell’evangelizzazione.


Da subito ci si rende conto che la situazione dei bambini di strada a Kinshasa è una delle più catastrofiche al mondo.  La mortalità infantile mostra valori elevati a causa delle ancora carenti condizioni igienico-sanitarie. Sebbene i villaggi rurali ospitino i due terzi degli abitanti, il fenomeno dell’urbanesimo si manifesta comunque in modo intenso e disordinato.

In generale le difficoltà e la durezza della vita in strada fanno sì che i ragazzi imparino a vivere secondo la logica della sopravvivenza e siano pertanto incapaci di programmare la loro vita. Nonostante tutto, molti ragazzi hanno in loro aspirazioni molto forti per il futuro: c’è chi mira ad una scolarizzazione che permetta di accedere al mondo del lavoro e ha il desiderio di apprendere un mestiere ad ogni modo, tutti hanno l’esigenza di essere guidati anche su questioni e tematiche diverse che riguardano la vita quotidiana. Pochissimi di loro infine hanno avuto modelli positivi tra gli adulti, ma il sentimento di sfiducia e di delusione si accompagna anche alla necessità di ritrovare delle figure adulte che siano un punto di riferimento così come di ritrovare un luogo di relazioni positive di tipo familiare dove ci sia qualcuno che li ascolti, li tuteli, li valorizzi come individui, ragazzi e bambini, prima ancora che come “ragazzi di strada”

Tra i casi più delicati e forse meno considerati c’è quello delle bambine di strada, una presenza minore (circa 8-9000) rispetto a quella maschile ma caratterizzata da bisogni specifici e da rischi maggiori. Le bambine in strada nella capitale congolese, hanno in media 13 anni, ma le più piccole possono averne anche 6.

Sono presenti in tutti i quartieri di Kinshasa, ma si concentrano in zone definite, tra cui Matete e in particolare Rond Point Ngaba, vero spartitraffico e punto di ritrovo della Comune di Lemba per  bambini e bambine di strada.

Le bambine arrivano in strada in seguito alla morte di uno o entrambi i genitori, e in generale per la mancanza di punti di riferimento. Si rifugiano nell’alcool e nella droga, e incappano frequentemente in abusi ed episodi di violenza, spesso da parte di ragazzi di strada (di sesso maschile) ma anche ad opera di coloro che dovrebbero occuparsi dell’ordine pubblico e della protezione dei cittadini (militari e forze dell’ordine in generale).

La normale attività per una bambina di strada è la prostituzione, che riguarda circa il 90% dei casi esaminati. Spinte dentro questa situazione, esse devono passare per una specie di “battesimo” in cui si spogliano della loro personalità e subiscono violenze sessuali collettive o rituali contraddistinti da torture corporali, come le bruciature fatte mediante sacchetti di plastica infiammati o lacerazioni con le lamette.

Le ragazze sono considerate più “utili” rispetto ai ragazzi, tanto che le famiglie di solito le sfruttano il più possibile”.

Le famiglie tendono a trattenere le figlie femmine per eseguire i lavori domestici e contribuire alla crescita degli altri bambini della famiglia. Molte ragazze si sposano anche giovani e questo è un altro motivo per cui per le strade non ce ne sono tante quanto i ragazzi. L’unico modo per aiutare definitivamente queste ragazze è l’emancipazione economica e delle strategie di sviluppo per i bambini e le loro comunità.

I piedi sono scalzi, una corda stretta alla fronte regge un sacco di carbone da 60 chili posizionato sulla schiena. Le sagome incedono in fila indiana: sono ombre di giovani madri, ventenni e trentenni, divorate dal peso della miseria. Scendono dalle montagne, verso il mercato, arrivando in paese dopo quattro ore, depongono il carico di merce e, in cambio, ricevono due dollari. Poi, eccone altre, che già dall’alba hanno posizionato i banchi, con esposta la merce: tuberi o banane. In ogni dove, si vedono donne lavorare duramente: nei campi, al mercato o in casa. Il lavoro è una prerogativa femminile. Oltre alla fatica, c’è anche l’orrore a caratterizzare le vite delle donne, sin da quando sono bambine.